La Pasqua, giornata della pace per eccellenza, è anche l’occasione del massacro di migliaia di agnellini, mangiati da persone ingorde che potrebbero nutrirsi con altri alimenti, risparmiando questi cuccioli di quaranta giorni.

 

Il movimento “Salviamo gli agnellini” nacque per combattere questa ingiustizia. Facendo valere le sue ragioni, in breve tempo raccolse parecchie adesioni, sensibilizzando la popolazione sulla strage di queste creature sacrificate all’ingordigia dell’“orco umano”.

 

Grazie all’impegno capillare porta a porta dei suoi aderenti, il movimento riuscì fortunatamente a realizzare il suo obiettivo di inculcare nell’opinione pubblica il disgusto nei confronti di chi mangiava questo cibo: bastava che in una famiglia una sola persona sensibile si opponesse al superamento di certi limiti, per produrre un insostenibile clima da “guerra fredda”.

 

In poco tempo mangiare l’agnello diventò non solo un reato morale, ma anche un vero e proprio problema sociale, perché chi comprava carne d’agnello, considerato alla stregua di un criminale, veniva insultato e perseguitato con picchetti di protesta davanti alla sua abitazione.

 

Questo successe, ad esempio, a una famiglia in cui la figlia minore aveva ingenuamente confidato alle compagne di scuola che il papà aveva un agnellino in frigorifero da mangiare a Pasqua. La reazione fu sproporzionata: l’intera famiglia fu soggetta a episodi di bullismo e all’odio di quanti li additavano come “cannibali”. Un’altra persona, dopo aver mangiato l’agnello, si trovò per giorni sotto casa centinaia di manifestati che urlavano “assassino, assassino”.

 

Per questo motivo consumare carne d’agnello divenne impossibile anche per quanti non vi avrebbero rinunciato, causando un crollo nelle richieste e un aumento degli animali rimasti vivi e invenduti.

 

Alcuni pastori si organizzarono in cooperative per vendere gli agnellini come animale domestico per i bambini. Le resistenze dei genitori vennero superate con false verità, come quella secondo cui l’agnellino è sempre piccolo e pesa pochi chili, cosa di per sé incontestabile visto che quando cresce non è più un agnellino.

 

Adottare un agnellino divenne una moda. In breve tempo però le famiglie si trovarono ad affrontare l’inevitabile problema di come tenere in casa un animale adulto e ingombrante, che i bambini non volevano più accudire. Sempre più esemplari vennero abbandonati nei parchi cittadini, evitando loro destini ben più terribili come l’abbandono in autostrada o la macellazione. Altri vennero lasciati liberi nei boschi.

 

Se i pastori avessero rispettato le regole e venduto solo agnelli maschi, questi, una volta adulti, non avrebbero potuto riprodursi e il problema si sarebbe risolto da solo. Le regole vennero invece ampiamente violate per cui gli animali, da adulti, iniziarono a riprodursi, aumentando ulteriormente di numero e dominando nei parchi.

 

Per esempio, al parco Forlanini di Milano esistevano ormai solo due specie animali: le tartarughine d’acqua, diventate giganti, e gli ovini. Se è vero che le pecore tagliavano le erbacce, è anche vero che, quando furono troppo numerose, non fu più possibile trovare un posto pulito dalle loro deiezioni dove poter stendere l’asciugamano per fare il picnic.

 

Anche nei boschi vicino alle montagne questa specie si moltiplicò a dismisura diventando un’attrazione per i lupi che scesero a valle per catturare queste facili prede, mentre i cerbiatti diminuivano per mancanza di cibo.

 

I parchi erano invasi dalle pecore che continuavano a moltiplicarsi e le autorità responsabili del parco, per contrastare l’esplosione dermografica, utilizzarono un metodo contraccettivo naturale, separando i maschi dalle femmine.

 

Questo sistema venne subito abbandonato, perché i maschi percepivano l’odore delle femmine in calore anche a notevole distanza e saltavano il recinto oppure lo abbattevano a testate (non a caso, è stato il montone a ispirare il sistema di sfondamento a “testa d’ariete”): raggiungevano le pecore e “abusavano di loro”, causando una vera e propria “strage al contrario”, perché in una notte un solo montone riusciva a concepire decine di agnellini, vanificando il tentativo di bloccarne la proliferazione. Per rispetto verso la dignità di questi animali all’inizio non si volle ricorrere alla sterilizzazione, ma quando la situazione divenne insostenibile non lo si poté evitare.

 

La presenza delle pecore e degli agnellini nei parchi aveva attirato numerosi ratti che, facendo una strage di queste facili prede, si moltiplicarono a loro volta diventando, anche di giorno, un pericolo per le persone che frequentavano il parco. Questi ratti non si poterono eliminare, perché disdegnavano le esche avvelenate e si nutrivano esclusivamente con la tenera carne degli agnellini. A nulla servì la vigilanza dei volontari dell’associazione “Salviamo gli agnellini”, attiva ventiquattro ore su ventiquattro per proteggerli, perché i ratti si arrampicavano sui muri e sui soffitti raggiungendo, uccidendo e mangiando le prede anche in luoghi chiusi.

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