Nel regno di Fhatiland viveva una nutrita comunità, ognuna di loro possedeva una particolare capacità. Era un regno prospero e tutti vivevano felici. I problemi e le incombenze venivano proposti al regnante che dava indicazioni su come risolverle, poi ci pensavano i reggenti, loro erano in grado di appianare tutte le difficoltà. I problemi di salute erano affidati a Medicus, colui che era incaricato di mantenere in salute gli abitanti, le incombenze economiche erano gestite da Salarius, un anziano commerciante che aveva il dono di saper fare di conto e di capire di finanza.
La vita scorreva felice e niente lasciava presagire che qualcosa andasse male. Non c’erano re che si arrogavano il diritto di comandare. Era una comunità democratica, anche se c’era un solo regnante a comandare. Ogni abitante aveva una particolare abilità o dono che gli permetteva di essere non uguale a tutti gli altri, ma nello stesso tempo utile alla comunità.
Tutto precedeva bene fino ai due figli di Tesorina, la donna che amava tutti ed era capace di fare torte per tutto il villaggio in poco tempo. Era velocissima e molto brava, i suo dolci era apprezzati anche al di fuori dal regno. Dicevamo dei due figli che quando raggiunsero l’età di nove per Malis e dieci anni per Tristo, cominciarono a combinare guai uno dopo l’altro. Erano delle vere pesti, mai si erano visti nel villaggio due bambini così indisciplinati. I saggi avevano più volte invitato Tesorina a sorvegliare i due discoli, ma la povera donna oltre al potere di fare dolci magnifici non aveva altre possibilità. Si disperava per non riuscire a farsi obbedire dai figli, ma purtroppo lei era sola, il marito era morto durante una partita di caccia, si era allontanato dal gruppo dei cacciatori ed era precipitato in un burrone.
I due birboni erano sempre in giro per il villaggio per combinare scherzi terribili alle loro vittime preferite. Spesso si spingevano ai limiti della foresta che circondava il loro villaggio, una fitta coltre di alberi, piante e vegetazione che di fatto ostruiva il passaggio e il contatto con il mondo esterno. Molte volte avevano tentato di passare dall’altra parte, ma per fortuna non erano riusciti ancora a trovare il modo di oltrepassare quella barriera naturale.
Nella loro incoscienza i ragazzi non sapevano che grazie a quella difesa il villaggio era stato preservato dalla contaminazione esterna. Per sfogare la loro incapacità a oltrepassare i confini si dedicarono a fare scherzi sempre più pesanti agli abitanti, nessuno era al sicuro dalle loro trovate. Quella volta che andarono al fiume a catturare un discreto quantitativo di ranocchie per poi metterle dentro il letto della signora Indovina, colei che era in grado di leggere nel futuro attraverso la cenere del suo camino. La legna che usava era nota solo a lei, perché la prendeva dal folto della foresta, dove nessuno si azzardava ad entrare. La sera, stanca della giornata, la poverina cercò di mettersi a letto e si vide accerchiata da decine di rane saltellanti, le sue grida si sentirono fino e oltre la foresta.
Un’altra volta, sempre i due terribili ragazzi, andarono nei campi e raccolsero due cesti pieni di pomodori, pensarono bene di salire sul campanile e con quelli bersagliare chiunque fosse a portata di tiro. Successe una baraonda terribile, furono colpiti alcuni fra gli esponenti più importanti e vederli ridotti in condizioni pietose dopo aver subito l’attacco dei due ribelli fu una scena disdicevole.
Tutto il paese era irritato per la condotta dei due, tanto che i maggiorenti si riunirono per decidere della loro sorte. Dopo ore di concilio fu presa una decisione: sarebbero stati allontanati in via provvisoria attraverso un passaggio segreto che solo i notabili conoscevano. Visto che volevano a tutti i costi andare dall’altra parte li avrebbero accontentati. Loro sapevano bene i pericoli che c’erano oltre la cortina difensiva e cosa importante fuori del villaggio i loro poteri quali che fossero non avevano nessun valore.
Quella che doveva essere una punizione esemplare, agli occhi dei due incoscienti ragazzi, sembrò la realizzazione del loro sogno. Non stavano più nella pelle, non vedevano l’ora di scoprire cosa ci fosse là fuori. Venne il giorno della loro espulsione. Tutto era pronto, i notabili, fra i quali il più anziano Gufus, erano pronti a condurre i due ribelli bendati oltre il muro di protezione. La gente era tutta in piazza ad assistere, la madre piangeva calde lacrime, sapeva bene che non avrebbe rivisto più i suoi ragazzi, non sarebbero tornati e forse sarebbero morti prima di sera. Piangeva, ma le sue mani sempre indaffarate stavano già muovendosi per preparare un’altra torta, non poteva farci niente era il suo destino, come era quello dei figli andare nel mondo esterno.
I savi non ci misero molto a ritornare in piazza per dichiarare che quello che c’era da fare era stato fatto.
La vita nel villaggio ora sarebbe stata più tranquilla, senza la presenza di quei due scavezzacolli.
Nessuno poteva immaginare che sarebbe arrivato un diluvio che in breve tempo spazzò via oltre la metà della abitazioni e lasciò sul campo decine e decine di morti. Quell’acqua era calda tanto da scottarsi al solo contatto ed era anche fetida, emanava un tanfo terribile, chi non era rimasto ucciso dall’acqua lo fu dalla puzza.
Di quella comunità così attiva e fiorente non restò molto, anche la foresta fu decimata, molti di quegli alberi che sembravano inattaccabili e possenti si dissolsero al contatto di quella pioggia violenta. Quando terminò quella pioggia acida i pochi superstiti si radunarono per decidere dove andare a costruire un nuovo villaggio.
Stavano ancora discutendo, quando come una specie di terremoto calò dall’alto un’ombra oscura. La scarpa del contadino che dopo aver pisciato si stava allontanando dal posto, calpestando quanto restava del regno di Fhatiland.