Si muoveva con passo felpato ed elegante, quella donna dalla lunga chioma color del miele e del grano. E nei suoi occhi verdi sempre spalancati nascondeva un mistero, a cui nessun uomo era riuscito ancora ad accedere. Lei era fatta così; almeno così si ricordava ora, nelle sue nuove sembianze. Aveva avuto molti amanti, conscia della sua spiccata bellezza li attirava a sé come un' amantide religiosa, per poi disfarsene all'occorrenza. Li collezionava, come faceva con i suoi numerosi animaletti. Perchè anche lei era stata trattata così dall'uomo che amava, il suo primo “amore”; lei credeva che lo fosse ma lui non provava la stessa cosa, anzi non provava niente. Era privo di ciò che comunemente chiamiamo “anima”; era stata lei a costruirgliela, idealizzandolo come solo chi è innamorato può fare. Ma tutto il castello che aveva creato, crollò di colpo e si rese conto della "bestia" che aveva davanti. Non era riuscita ad addomesticarlo, da allora decise che avrebbe rinunciato all'amore. Ma in seguito avrebbe dovuto rinunciare a qualcosa di più; alla sua vita da "umana". Rammentava di quel tempo ormai lontano, dopo la trasformazione, mentre stava distesa sulla neve, aspettando che la morte l'accogliesse tra le sue gelide braccia.
Che stupidi che erano gli uomini, e com'era bello trarli in inganno, in virtù della mia antica bellezza. Cadevano ai miei piedi solo al battere delle mie lunghe ciglia...Ora non posso fare altro che ricordare, ma i ricordi stanno iniziando a svanire...Ad esempio, qual era il mio nome da umana? Qual era la mia occupazione e i miei interessi? Nulla, il vuoto. Ricordo solo che sono passati molti mesi da quando potevo ancora camminare su due piedi. E' stato lui a farmi questo, quel farabutto! Solo perchè non ha accettato il fatto di essere scaricato. E ora sono condannata ad essere così per sempre. Ma quest' altro uomo che si sta avvicinando, forse sarà il vero amore che non ho mai conosciuto da umana? Quell'utopia; l'amore, quello vero, esiste davvero?
I ricordi riaffioravano a poco a poco , sparpagliati alla rinfusa, come dei pezzi di un puzzle che però non riusciva ad assemblare. Si ricordava di essere stata una studentessa, ma che cosa studiava? Le piaceva dipingere, questo le tornò subito alla memoria. Quindi si immaginò che potesse studiare all'Accademia delle Belle Arti. Visioni confuse di colori ad olio e di tele, le arrivarono alla mente con violenza, con la stessa velocità di una pennellata di Pollock. Era il suo artista preferito, ma lei amava disegnare ritratti dal vero, soprattutto di animali. Fin da piccola ne aveva posseduti a bizzeffe e di ogni specie : gatti, cani, uccellini, tartarughe. Chissà perchè amava possederne così tanti e ritrarli? Forse perchè trovava che fossero dei soggetti più interessanti delle persone; in loro vi era quell'innocenza, quella bontà e grazia, che gli esseri umani avevano perduto o che forse non avevano mai posseduto, se non da piccoli. E proprio a Riccardo aveva regalato il suo ultimo dipinto, che raffigurava...un gatto. Rosso con striature marroni, occhi verdi enormi e lunghissimi baffi; era il gatto che l'aveva accompagnata per tutta l'infanzia, si chiamava “Milù”.
Faceva così con ogni suo “amante”, prima di scaricarlo gli dava un regalo d'addio, che di solito consisteva in un dipinto o in un disegno; ma loro il più delle volte gli davano fuoco o li buttavano nella spazzatura. Invece Riccardo era diverso, lui conservò gelosamente quel dipinto, non tanto per nostalgia o per ricordare la sua amata, ma perchè gli serviva per uno scopo ben preciso...
Riccardo, così si chiamava la sua ultima conquista da umana, le aveva lanciato una maledizione. Appena si trasformò le sembrò di essere in un incubo, la protagonista di un racconto del terrore alla Edgar Allan Poe, eppure le era successo davvero. “Mai sottovalutare il cuore di un uomo ferito”...
Dopo che lei lo aveva scaricato e tradito, il suo orgoglio, non riuscì a sopportarne il peso; decise che dato che si comportava da “gatta morta”, così lei avrebbe dovuto vivere la sua intera esistenza. I suoi nonni erano pratici di magia nera e gli avevano insegnato fin da piccino, le maledizioni più terrificanti, da scagliare ogni qualvolta avesse subito un torto. E lei fu la sua prima vittima; prima di allora non aveva mai utilizzato le formule, contenute nel libro che i suoi nonni gli avevano lasciato in eredità. La trasformò in una bellissima gatta dal pelo rosso-arancio scintillante e maculato, dagli occhi color smeraldo brillante, era proprio come il gatto del dipinto. In versione felina lei era la fedele copia di quand'era umana, Riccardo aveva mantenuto intatta la sua bellezza, ma ora lei non avrebbe mai più potuto sedurre nessuno, almeno non nel modo tipico delle donne “umane”. Inoltre l'aveva fatta sterilizzare, così non avrebbe potuto neanche accoppiarsi con i suoi simili.
La abbandonò in strada; e lei vagò per giorni e giorni, cercando di sfuggire ai vandali che volevano bastonarla, darle fuoco, scuoiarla o lanciargli innumerevoli oggetti addosso; così si era rifugiata sotto un albero e si accontentava di mangiare qualche filo d'erba o qualche insetto. Talvolta scendeva in città, per cercare del cibo più sostanzioso e i cassonetti offrivano molto più materiale di quanto lei avrebbe mai immaginato. Certo da umana non aveva mai avuto bisogno di fare una cosa simile, sebbene non fosse in una situazione economica molto invidiabile...All'improvviso un doloroso ricordo che avrebbe voluto rimuovere, sopraggiunse. Sua madre era morta e le aveva lasciato una piccola eredità : la casa di proprietà e una somma modesta che le avrebbe permesso di vivere per qualche anno senza doversi mantenere da sola. Iniziava a ricordare il volto della sua povera mamma. Cosa avrebbe pensato se fosse ancora in vita? Non avrebbe retto il colpo. E suo padre? Non l'aveva mai conosciuto. La gatta si trovava dispersa in quella sua nuova identità, a vagare senza meta, senza una casa, ad aspettare il passare del tempo congelata dal freddo e dalla fame; nell'indifferenza dei passanti che la calpestavano. Non era così che vivevano molti esseri umani?
...I suoi occhi si inumidirono al pensiero della sua vecchia vita, al ricordo della madre e dei suoi (pochi) amici. Cercò di asciugarsi le lacrime con le zampe, ma nessuno era lì a consolarla. Poi si lasciò sprofondare nella neve, era inverno, un lungo inverno a Firenze che sembrava non passare mai. Gli inverni li aveva sempre passati al calduccio, avvolta da un sudario di coperte, con in mano una tazza di cioccolata calda, davanti alla televisione o ad un buon libro. Nelle sue nuove sembianze riusciva a ricordare a malapena che cosa volesse dire essere umani. Ma in fondo ciò non era un male; erano gli umani ad essere i veri animali. Mentre stava distesa lì, nel suo letto di neve, ad un certo punto si sentì trascinare via, trasportata e cullata da mani gentili, avvolte da guanti di lana; non sapeva di chi fossero, ma appartenevano di certo ad una brava persona, perchè erano davvero troppo delicate per appartenere ad un bruto o ad un villano qualsiasi.
Da umana, dopo essere stata ingannata dal suo primo amore, aveva dato per scontato, sbeffeggiato e addirittura ridicolizzato certi sentimenti, stati d'animo che ora vedeva materializzarsi lì di fronte ai suoi occhi. Il suo nuovo padrone si chiamava Angelo; lo era di nome e di fatto. Appena la portò a casa, la adagiò in una cesta e la coprì con un lenzuolo, davanti al fuoco del camino.
“Ti chiamerò Milù”, così la battezzò, accarezzandole il volto ancora ghiacciato dai fiocchi di neve.
“Si, mi piace. D'altronde non mi ricordo come mi chiamavo, prima di diventare così. Sei così gentile con me”, rispose Milù, invano.
Angelo non la sentiva, si era dimenticata che la comunicazione tra gatti e umani, non poteva esistere. Ma in fondo era contenta perchè sapeva che si sarebbero potuti capire lo stesso, molto di più di quando era umana; si sentiva incompresa dalle persone. Spesso è così, un animale ti comprende molto di più di quanto possa fare un tuo simile, anche se non dice una parola. Ciò che le uscì dalla bocca, invece di quelle parole che pensava di aver proferito, fu un debole “miao”, al quale Angelo rispose con un “si scusa, hai ragione. Ora ti porto da mangiare”.
Non aveva mai incontrato una persona così “umana”. Ma come si sarebbe comportato con i suoi simili? Si sa che gli umani, almeno la maggior parte (se escludiamo certi sociopatici che si divertono a torturarli) provano molta più empatia e sensibilità verso gli animali; ma perchè non si comportano allo stesso modo con gli umani? Queste furono le riflessioni di Milù, dopo aver incontrato quell'incantevole creatura che era il suo nuovo padrone. I suoi occhi erano caldi e tristi, la sua bocca continuava a distendersi in larghi sorrisi, che scoprivano i suoi denti perlacei. E quei capelli corvini, sembravano così soffici, ma non poteva toccarli. Si accontentava di guardarlo a distanza, facendo le fusa per attirare la sua attenzione. Quanto sarebbe durato quell'idillio? Era contenta di essere stata accolta in casa da Angelo, ma le mancava la sua condizione di umana; sebbene non ci fosse nulla di invidiabile. Quello che le mancava di più era la sensazione o l'illusione, di poter amare un altro essere umano, quella stessa che stava provando ora che non era più una donna. La permanenza a casa di Angelo trascorreva tranquilla, e Milù ormai si era abituata da tempo al suo nuovo stato felino. Lui era un poeta, ma lavorava come cameriere per mantenersi; lo vedeva sempre scrivere e scrivere ossessivamente su quel suo taccuino sgualcito e a volte le leggeva le sue poesie. Erano quanto di più bello lei avesse mai udito, ma sperava fossero dedicate a lei, invece la donna in questione era una certa “Clara”..Clara? Il mio nome non me lo ricordo, magari era anche più strano di questo. Vorrei tanto essere lei...
Per tre anni visse a casa di Angelo, finchè un giorno si ammalò.
( 2^ parte: venerdì 18/10)