Il mare
Non ricordava di avere una età, di avere un nome né da dove provenisse.
Aveva i segni del sole e delle privazioni incisi sulla pelle scura, ruvida quasi incartapecorita, i piedi non conoscevano riparo, strati di pieghe e pelle .
Indossava abiti informi, incolori e non conosceva mutande, cappotti, cappelli.
Seguiva le bestie, le accudiva le amava, erano l’unica fonte di amore e di consolazione.
Era una povera infelice, ritardata agli occhi del mondo, ma ai suoi stessi occhi era anima pura e pensieri profondi e sogni.
Ebbene sì, aveva un sogno arrivato dalla fine del mondo ma le apparteneva.
Sognava il mare.
Su quelle alture c’era arrivata non sapeva come, venne accolta come bestiolina in un casale , le fu concesso di dormire nella stalla e col tempo la considerarono una di loro, non parlava se non a monosillabi e si apprese soltanto che i precedenti padroni l’avevano abbandonata in un noccioleto.
Aveva appreso che laggiù, lontano, là oltre le cime verdi e rilucenti c’era un posto con tanta acqua da coprire tutte le montagne.
Le piaceva far pascolare le bestie lungo i corsi d’acqua poiché capiva che quell’acqua portava in un posto più grande e profondo .
Decise un giorno di incamminarsi verso il sogno .

Si teneva a ridosso delle rive, si nutriva di bacche frutti di bosco, acqua e qualche volta riusciva a intrappolare una anguilla di cui il fiume era pieno e sapeva anche come accendere un fuoco così da cuocerla.

Il fuoco  aveva appreso ad accenderlo da un pastore anni prima e di nascosto, quando i suoi vecchi padroni le impedivano persino di usare la brace avanzata dai loro focolari.

Gustò con cupidigia la preda, aveva sempre procurato le anguille ai despoti padroni ma mai gliene venne dato un morso.
Percorreva lunghi tragitti, ogni giorno superava cascate, torrenti e spesso si feriva con i sassi.
Nessuno le aveva insegnato niente ma conosceva le stelle e per istinto ancestrale seguiva quella più luminosa, perché secondo lei era come quella dei re magi.
Per mesi camminò, per mesi non vide volto umano, ma mai pensò di desistere.
Un temporale la colse lungo un tratto del fiume e non fece in tempo a tornare a riva, la piena la travolse.

Il fiume che sembrava  un ruscello un po’ più grande cominciò a gonfiarsi a tal punto che appena incontrava un dislivello creava una cascata impressionante, trasportando sassi, macigni, alberi e carcasse di animali.

Lei si lasciò andare, pensò che fosse giunta la sua ora, sbatteva da una parte all’altra ma sentiva la sensazione che l’acqua si curasse di non farla sbattere contro i sassi.

Il volo che fece da una di queste improvvisate cascate fu di parecchi metri ma la sua mente non percepiva il pericolo, le sembrava di essere sulle ali di qualche angelo che quel dio, cieco sino a quel giorno, le aveva negato.
Non sapeva quanto tempo fosse trascorso, il cielo si era rabbuiato, il sole stava scomparendo quando si sentì quasi adagiata su un tappeto morbido e umido e una schiuma bianchissima la coprì.

Pensò che fosse finalmente giunta alla grande acqua e chiuse gli occhi sazia del suo sogno.
La notte la colse fra le onde e lei si lasciò cullare sino ad addormentarsi.

Un calore importuno e fastidioso e una luce accecante la trovarono stesa supina sulla sabbia, si sollevò con cautela, si guardò intorno e un blu accecante e argentato la schiaffeggiò.
Non ebbe alcun dubbio, comprese che era giunta al mare, la grande acqua come la chiamava lei.
Non ebbe né timore né paura e  stavolta coscientemente si immerse nell’acqua cauta e rispettosa, assaggiò l’acqua e lo stupore la colse: era salata!

Trovò riparo per la notte dietro una duna, dove c’era una barca malandata e fatiscente.

Stavolta la notte la colse sulla terra ferma e in un riparo precario, ma pur sempre riparo.

Grida e canti la svegliarono, in mare vide un grosso barcone che  stava giungendo sulla spiaggia, omaccioni nerboruti e barbuti scesero e buttarono per terra reti stracolme di pesci, guizzavano ancora argentei e Concetta, era questo il suo nome, affamata e assetata si avvicinò prima di tutto estasiata dallo  sbrilluccichio dei pesci e poi dalla certezza che avrebbe avuto qualcosa da mangiare e da bere da quei pescatori.

Fu così infatti, nessuno di quegli uomini si sorprese alla sua vista e ognuno le porse qualcosa per sfamarsi.

Fecero domande  ma non ottennero risposte, compresero che era una povera infelice e le indicarono che poteva trovare riparo in un capanno che serviva per le reti, e che poteva poi dare una mano quando tornavano dalla pesca.

Concetta aveva finalmente trovato la sua pace.

Fu molto tempo dopo che i pescatori la cercarono una mattina al ritorno dalla pesca, non c’era traccia di lei, chiesero ai pochi che correvano lungo la riva, nessuno l’aveva vista. Per giorni la cercarono sino a quando giunse l’inverno, il mare grosso e agitato, quasi nemico, lasciò cadere dall’alto di una onda che si era sollevata schiumosa e rabbiosa un corpo inerme e ormai sfatto.

Con raccapriccio e dolore, con pietà e carità cristiana raccolsero il corpo lo adagiarono su una barca .

Quando ci fu il funerale tutto il paese lo seguì.

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