Non lo so, ma a me il tennis fa venire in mente il caldo e le vacanze, sarà per questo che mi piace. Ho iniziato da autodidatta con gli amici sui campi gratuiti che c’erano al parco. Si giocava più che altro nella bella stagione, perché d’inverno mica li coprivano.

Siccome non si pagava non era facile trovarli liberi, erano sempre occupati da chi abitava lì nei dintorni, o da chi ci si stabiliva di primissima mattina e li occupava per tutto il giorno dandosi il cambio tra amici. Così non ci giocavamo spesso, lo facevamo più che altro d’estate, quando molti erano in vacanza.

Ricordo una volta in cui per trovare il campo libero abbiamo giocato all’una, in agosto, un caldo massacrante su quel campo crepato di cemento.

Sei lì che attendi il servizio dell’avversario. Non sai se la tirerà a destra o a sinistra, forte o piano, e senti il caldo che viene su dal campo infuocato dal sole che ti annebbia le idee, ma devi essere pronto a scattare come una molla per rispondere. Cerchi di mettere a fuoco la pallina, di cui sentirai il suono prima di vederla.

Intanto si sentiva il rumore delle stoviglie del pranzo dai palazzoni di condomini lì a fianco. Qualcuno magari si affacciava a guardarci, incuriosito o infastidito dal rumore della pallina che si differenziava dal silenzio della siesta. Ad un certo punto è piovuto un pomodoro in mezzo al campo, non eravamo tanto bravi in effetti.

Non è stato quel pomodoro a scoraggiarmi, ma a tennis comunque ho continuato a giocarci solamente d’estate, non sempre, quando capitava, soprattutto in vacanza. Così non sono mai diventato bravo.

Ricordo una volta in Tunisia, il campo era di sabbia. Forse non di sabbia soltanto ma il colore era lo stesso ed era pieno di buche, o comunque le si faceva mentre si giocava. Dire che era arso è poco. Su un tiro un po’ forte la pallina è rimasta piantata nel campo, lì incastonata vicino al nastro della riga, altro che il replay computerizzato per verificare se è dentro o fuori. Credo non ci avesse mai giocato nessuno da parecchio tempo lì, ma mi ero portato la racchetta e due tiri bisognava pur farli.

Oppure in un’altra vacanza c’era un campo in mezzo alle coltivazioni, con la rete di recinzione malandata e piena di buchi. Ricordo che cercavamo le nostre palline in mezzo alle pannocchie e alle cicale. Era più facile trovare quelle lasciate lì da altri prima di noi, c’erano più palline che pannocchie. Probabilmente si scoraggiavano tutti e preferivano andare a fare un tuffo in piscina col caldo che faceva.

D’estate poi capita di trovarsi in situazioni inusuali, come ad esempio giocare con qualche straniero, oppure con un qualche personaggio famoso che capita lì in vacanza. Così ti trovi magari in quattro a fare un doppio assieme ad un calciatore in pensione, un giocatore della nazionale di pallavolo alto due metri e il cantante di una famosa hit estiva.

Ricordo una volta che con mio figlio piccolino, aveva un anno, ci siamo seduti sulla tribunetta di fianco al campo a guardare un vip prendere lezioni di tennis. Insieme a noi si erano fermati in tanti venendo su dalla spiaggia, tutti incuriositi. Il maestro gli diceva di fare più così e meno colà, ma erano entrambi bravi allo stesso modo in realtà. Ad un certo punto lui si ferma e con un occhio all’ormai gremito pubblico dice al maestro: “senti, ma a me pare che sei tu che la tiri sempre in rete!”. E tutti giù a ridere. Non ci si stanca mai di dare spettacolo.

Quando mio figlio era piccolino giocavo meno, perché stavo con lui. Però nelle ore calde ne approfittavo, mentre faceva il riposino del pomeriggio. Una volta mi ero un po’ dilungato in una partita e me lo sono visto arrivare al campo accompagnato dalla mamma.

Ho visto lo stupore nei suoi occhi. Era abituato a guardare con me di fianco a lui, non con me dentro al campo. Deve esserglisi acceso qualcosa in quel momento, perché da lì in poi ha voluto sempre tenere una racchetta in mano quando ne vedeva una nei paraggi. Forse aveva capito che le cose si può anche farle oltre che guardarle.

Qualche anno dopo il giorno prima di partire per la vacanza gli ho comprato la sua prima racchettina. Lungo il tragitto tra lavoro e casa aveva appena aperto un negozietto solo di tennis, in un posto improbabile, infatti ha chiuso poco tempo dopo purtroppo. Sembrava fosse sorto dal nulla appositamente per noi, per vendermi la racchettina che mancava perché fosse davvero vacanza.

Con quella tutte le mattine prima di andare in spiaggia ci fermavamo al campo. Ne colpiva davvero poche ma era troppo bello vederlo impegnarsi per farlo. E troppo bello fare poi il bagno dopo aver giocato, giusto il tempo di togliersi le scarpe e correre incontro al mare che era lì ad aspettare noi.

 

- Mamma, oggi ho battuto il papà 7 a 5.

- Ma com’è possibile?

 

I punti erano le volte che la colpiva. Chissà, un giorno forse riusciremo a fare un doppio assieme. Per il momento giochiamo ogni tanto e portiamo con noi la sorellina più piccola, lei con la terra rossa fa i castelli di sabbia.

Quando vado in giro d’estate comunque una racchetta me la porto sempre dietro, non si sa mai. Ma se in campo non fa un caldo infernale non mi diverto. Mi piace sentire il silenzio dato dal caldo, dall’estate e dalle vacanze. Un silenzio infinito, senza pensieri. E poi sentirlo rotto dal suono della pallina, che ne definisce come un eco la vastità. Ad ogni colpo il suono mi ricorda che è estate, ogni colpo evidenzia il silenzio, quell’infinito pacato silenzio dell’aria caldissima quando è estate.

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