Phil era esattamente dov'era sei anni prima.
Era in piedi estasiato, incredulo e divertito per ciò che stava guardando, era un tuffo nel passato.
Un passato che pensava non si sarebbe mai più presentato.
"E' hai limiti della normalità signora Everett, mi spiace diglielo con franchezza, ma suo figlio ha una forma di autismo molto rara" era così che l'aveva definito il medico quand'era piccolo, anzi, i medici.
Phil non ricordava nemmeno quanti gli avevano auscultato il cuore e gli avevano fatto vedere strane macchie su dei fogli.
"E' speciale il mio ragazzo" era così che lo definiva sua madre con un gran sorriso sul viso, un sorriso che non nascondeva affatto bene ciò che ne si nascondeva dietro, al buio.
Phil disegnava, in sostanza era questo che faceva, e lo faceva molto bene, troppo bene.
Phil aveva sempre il suo zaino sulle spalle e dentro al suo zaino aveva sempre il suo blocco e le sue matite, non se ne separava mai, come il tossico ha sempre con sé la sua prossima dose, o come l'alcolista ha sempre una bottiglia mezza piena in mano.
Era la sua maledizione, ma non poteva sottrarsene.
A Phil non piaceva molto l'aria di casa, anzi, non gli piaceva affatto, appena ebbe l'età per andarsene se ne andò, vagabondò in lungo e in largo arrangiandosi e stupendosi nel prendere coscienza che il mondo, in fondo, non era così terribile.
Phil andava nei posti pubblici, si sedeva e poi succedeva, sempre puntuale come un orologio: senza accorgersene era andato "nel suo mondo".. sull'Isola, come diceva sua madre, e aveva disegnato.
Quando ritornava alla realtà, si alzava, appoggiava la sua ultima creazione esattamente dov'era seduto e se ne andava. Phil non teneva mai i suoi disegni, non c'era un motivo, semplicemente gli sembrava naturale così. andate... Liberi.
Phil non seppe mai che quel giorno, quel giorno di sei anni prima, esattamente su quella panchina alla stazione centrale, l'uomo di fianco a lui era un uomo in crisi. Un uomo in cerca di un idea, disperatamente. Un uomo a cui era stata affidata una commissione importante.
Quest'uomo si chiamava Agarty ed era uno stimato architetto e progettista, doveva creare una scultura che sarebbe stata situata dove era seduto lui adesso.
Il ragazzo magro seduto di fianco a lui, quel giorno di sei anni fa, inizio a tremare leggermente, poi prese il suo zaino e ne estrasse un foglio bianco e una matita e con sguardo assente incominciò a muovere la mano, sempre più veloce, sempre più precisa, senza guardare il foglio.
Agarty, sbalordito, lo osservò mentre se ne andava... non fu in grado di digli nulla, nemmeno gli chiese perché stava abbandonando il suo disegno.
Quando lo guardò restò shoccato, non aveva mai visto nulla di simile ... il suo battito accelerò, sentiva il cuore pompare dietro agli occhi. Riusciva quasi a sentire il suono di quelle linee che si sfioravano e ripartivano in direzioni diverse. Restò senza parole.
Sei anni dopo senza parole non era Agarty. Se foste passati di lì in quel momento, avreste visto un ragazzo immobile davanti al nuovo capolavoro del grande architetto Agarty, che piangeva, che incredulo vedeva avverarsi il suo più grande desiderio.
Un suo disegno aveva viaggiato di mano in mano, abbastanza da diventare qualcosa, abbastanza da prendere vita.
Era la cosa più bella che lui avesse mai visto.