Nomina Omina. C’è un destino nei nomi, come nelle collocazioni geografiche. Quella di Los Angeles, confinante con il mare del tramonto giustificava una nota malinconica e decadente, come le palme del vialone mi suggerivano con garbo.
Forse avrei potuto inserire questo pensiero, che mi pareva passabilmente profondo, nel libro. Ordinai un caffè nel primo bar che mi capitò a tiro, rassegnandomi a una brodaglia diluita.
Mi stupirono con un impeccabile espresso.
Dovevo ammetterlo: mi trovavo a corto di idee.
Il libro di Plight mi abbracciava il petto, non ne avevo letto che poche righe, delle tre una. Troppo comoda la poltrona, troppo stanco io oppure troppo noioso il libro. Optai per la somma delle tre cause, con leggerezza.
Avevo un appuntamento con un rappresentante della carta stampata. Il solito topo di biblioteca, dagli incisivi ancora sporchi di cellulosa, che mi avrebbe chiesto cose cui non era neanche lontanamente interessato. Il risultato netto della colazione di lavoro sarebbe stato un trafiletto per addetti ai lavori, sicuramente in penultima pagina, a fronteggiare i necrologi nella gara per l’attenzione del lettore. Con non so quale successo.
Ero seduto in quel locale all’aperto, godendo delle ultime stille di gusto di caffè che vagavano sulla lingua. Accesi una sigaretta, rivolgendomi verso l’affogare imperioso del sole, chiudendo gli occhi.
Fui risvegliato bruscamente dal tocco di una mano sgarbata, sulla mia spalla.
“No smoking here, sir.”
Mi girai verso il concentrato di ormoni e testosterone che mi invitava all’astinenza. Il mento di taglia conformata rispecchiava, in proporzione, i guizzi poco rassicuranti della muscolatura, disposta in un ordine che interpretai come minaccioso.
“OK, sorry” risposi con banalità colpevole, spegnendo la mia silenziosa amica.
L’occhio umano è sensibilissimo alle variazioni: è per questo che coglie l’attimo dello sguardo altrui, il lampo degli occhi. Avevo notato quel lampo, ma non ci avevo fatto caso. A corto di metodi per passare il tempo, studiai meglio l’origine dello sguardo, distante due tavolini da me.
Aspetto dimesso, capelli scuri come gli occhi, avrebbe potuto essere me, se solo avessi portato gli occhiali. Era come guardarsi nello specchio dopo essersi malamente camuffati.
Mi sorrise. Ricambiai. Poi si mosse per venire da me, come mi aspettavo, rivelando una prevedibilità di fondo.
“Glad to meet you” gli dissi, dando fondo alla mia competenza in fatto di formule di cortesia.
“Siamo italiani entrambi” mi rispose.
“Senza dubbio” ammisi, alzando gli occhi al cielo.
“Dott. Tomaso Volo, studioso di filologia romanza” mi disse, tendendomi la mano e rimarcando un duetto di parole che non capii.
“Quasi omonimo. Tommaso Volo, con due m, scrittore senza speranze.”
Stringergli la mano fu come stringerla a me stesso, tanto simili erano le taglie delle dita. Un atto di onanistica cortesia.
“Cos’è la filologia romanza? Perdoni l’ignoranza…”
“Complicato da spiegare in due parole, complicato come spiegare al sottoscritto cosa sia uno scrittore senza speranze. Senza speranze non si scrive, mi pare.”
Lo guardai sorpreso dalla profondità dell’affermazione, ammutolito.
“Sai perché sono qui, adesso?” mi chiese a bruciapelo, passando al tu.
“No.”
“Proprio non lo immagini?”
Scossi la testa, dubbioso, anche se cominciavo a capire.
“Tu sei me, sfuggito al mio ferreo autocontrollo. Sei il mio sogno libero di scrivere senza condizionamenti.”
“Ti sbagli.”
“Perché?”
Lo guardai fisso, poi parlai.
“Tomaso, sei tu che sei uscito dal mio sogno”, mi disse con naturalezza, quasi non fosse un rimprovero.
“E in cosa tu pensi che io avrei realizzato un tuo sogno?” gli chiesi, innervosito.
“È facile. Inutile nasconderselo. Sono un mediocre scrittore votato all’insuccesso, destinato a scrivere dialoghi e descrizioni che mai nessuno leggerà. Tu sei una persona di successo, almeno nel tuo ambito.”Mi guardò e poi continuò.“Vuoi una prova? Parlami della filologia romanza.”
“Ma se neanche sai di che parli!”
“Parlamene tu, visto che sei, o dovesti essere, uno dei massimi esperti a livello europeo.”
Stavolta lo presi sul serio. Mi impegnai. Nulla, come se non riuscissi a trovare nessun concetto dentro di me.
“Vedi? Non ne sai nulla tranne il titolo, non sei un esperto. Sei un sogno! Un mio sogno!”
“Ma, non credo…” balbettai.
“Vuoi un altro esempio, d’altronde San Tomaso era celebre per l’incredulità. Vediamo un po’. Suppongo che il tuo ultimo libro si chiami Storia della Filologia Romanza. Classico.”Sorrise, per riprendere dopo un attimo.“Ti ricordi i nomi degli altri libri?”
Avevo un buco nero situato al posto del cervello. Ma non mi arresi.
“E sentiamo” gli chiesi “della tua lunga carriera di scrittore… ti ricordi qualche titolo?”
Lo guardai senza pietà, come quando si infila la lama nel cuore del nemico con cui si è lottato fino a pochi istanti prima. Una discesa lentamente letale. Non seppe rispondermi, si limitò a raccogliersi la faccia tra le mani, singhiozzando.
A nessuno piace sapere di essere solo un sogno.
Neanche a me.
Mi hanno spiegato che sarei una specie di caso clinico e che per questo mi tengono sotto osservazione. Sono molto gentili, per carità, ma confesso che mi mancano sia il Sunset Boulevard sia il mio studio polveroso.
Come un centinaio di altri miei posti che mi hanno spiegato essere frutto solo della mia fantasia onirica malata. Semplicemente i sogni non spariscono con la veglia, ma continuano a vivere, quasi fossero in universi paralleli.
Me lo hanno spiegato con una metafora: la mia mente, durante il sogno, funziona come due specchi paralleli con in mezzo me stesso. Le riflessioni multiple creano infiniti personaggi, tutti a me somiglianti, con lievi differenze e un contesto proprio. Solo che gli specchi continuano a funzionare anche se io mi sveglio, sottraendomi al loro gioco. Complicato ma tremendamente reale.
Ma hanno cominciato a fare pulizia. Semplicemente spingono gli universi paralleli ad incontrarsi, prendere coscienza di essere solo sogni, annichilendosi in uno sbuffo di energica consapevolezza. Io lo chiamo omicidio onirico, anche se non conosco la pena né se possa essere considerato un vero reato.
Mi sono rimasti solo due mondi che riesco a vivere sempre meno, con la subcoscienza incrostata di chimica e scariche elettriche.
Non riesco però a scegliere tra essere un saggista di successo e uno scrittore di insuccessi, ma dovrò decidere in fretta, perché finalmente ho un piano. Mi identificherò con il sogno scelto, fino a scomparire io materialmente.
Devo farcela, che Dio mi assista.
Addio
Pierluigi Volo
Il foglietto fu trovato dall’addetto alla pulizia della stanza. Del paziente, invece, nessuna traccia.
(un mio vecchio racconto, scritto sulle note immortali di Minuano” dell'enorme Pat Metheny)