Mangiato!
Naturalmente i panini li ho preparati io, alla mia solita maniera e cioè con 5, 6 strati diversi: ne ho fatti 15!
Francesco ha gradito!
Pane bianco del tipo ‘Bauletto’, pomodoro tondo grosso tagliato sottile come fosse un salame, una spruzzatina di sale, sottiletta Kraft, fetta di prosciutto crudo, cotto o mortadella, fetta di scamorza affumicata, altra fetta di prosciutto crudo o cotto, spicchio di ‘auricchio’ piccante, certosa galbani ben spalmata sull’altra metà; il tutto ben schiacciato e incartato stretto stretto con fogli di alluminio.
Il viaggio dura quasi undici ore ed è meglio mangiare due volte; poi con le ferrovie c’è da aspettarsi di tutto, per cui meglio essere preparati ad ogni evenienza.
Il treno è affollato sino all’inverosimile.
Ci sono anche diversi viaggiatori in piedi, ma quello che crea più problemi è lo spazio occupato dei bagagli; ce n’è di tutte le forme e di tutte le dimensioni e molti (i più grossi naturalmente) ostruiscono il passaggio nel corridoio.
Comunque il viaggio procede regolarmente senza intoppi.
Ci vorrebbe un caffè: dopo i panini è quasi indispensabile.
Purtroppo su questo treno c’è la possibilità di avere solo un pessimo ‘Nescafe’!
Il paesaggio scorre veloce; i poderi del nord sono ormai passati da un pezzo, campi ordinati e ben delimitati, macchie rettangolari di verdi, di gialli, di terre in tutte le tonalità; tutto disegnato, curato, lavorato con meticolosità e impegno.
Adesso è cambiato da un pezzo: la tratta Ancona – Pescara già palesa un certo disordine; campi arruffati, incolti, pezzetti di terra abbandonata e brulla.
Ma ora è iniziato il mare, il mare, il sogno segreto del Nord.
Un mare freddo e limaccioso, gonfio, sporco, inquinato.
In questo tratto, la risacca si è mangiato buona parte della costa e le onde lambiscono quasi le rotaie.
Solitamente il mare d’inverno è bello da vedere, rilassa, ti da un senso di pace e di infinito come nessun’altra cosa, ma oggi, questo tratto assolutamente no.
Pescara.
Ma credo, che a voi non importi nulla del mio viaggio.
Giro pagina, provo a pescare nel profondo, qualche altro ricordo delle feste di natale.
Vediamo: cambio la canna, aggancio l’esca all’amo e lancio lontano lontano…
Achille… il nonno… don Achille, un personaggio fantastico.
Ho molti dei suoi geni nel sangue; mi manca però la sua gioia di vivere, la sua inesauribile allegria, e non sono ancora riuscito a raggiungere il suo livello di follia.
Nonno Achille aveva fatto la guerra del 15-18 ed era stato ferito ad una spalla: ci faceva vedere con orgoglio la sua croce di guerra e la cicatrice, della palla che lo aveva colpito mentre era carponi steso sul terreno; si vedeva il foro d’entrata e quello d’uscita, una ferita abbastanza superficiale che aveva consentito al proiettile di attraversare il suo dorso per una decina di centimetri.
E ci mostrava l’elmo che aveva utilizzato e la baionetta che aveva innestato sul suo fucilone antidiluviano.
Era stato molto fortunato, diceva. Aveva partecipato a due soli assalti e aveva ferito con la baionetta un solo nemico; poi era stato ferito e per lui la guerra era finita.
Come a tutti i superstiti viventi, nel cinquantenario del 15-18, gli hanno dato la medaglia d’oro di Vittorio Veneto.
E’ stato il primo ad essere assunto come dipendente dalla sede Inps di Lecce.
Dall’ufficio mi portava spesso quelli che lui chiamava ‘i soldatini’.
Questi ‘soldatini’ furono per me un gioco infinito, una fonte inesauribile di fantasia.
Li usavo spessissimo proprio come se fossero dei soldatini di piombo, con tanto di battaglie, scontri, parate militari e quant’altro; in pratica erano i miei inseparabili ed inesauribili compagni di giochi.
Si trattava in pratica di cartoncini rettangolari giallini (color pergamena) con un angolo smussato… una sorta di schede perforate, ma molto più corte e molto più larghe (saranno state 10x12 o 8x10 con l’angolo smussato sul lato più lungo). Sicuramente saranno state delle schede per l’archiviazione, antenate di quelle che sarebbero diventate poi le famose ‘schede perforate meccanografiche’, ma non avevano alcuna scritta.
Ogni scheda, opportunamente piegata a metà sul lato lungo, diventava un ‘soldatino’, che stava perfettamente in piedi e si poteva inquadrare in plotoni, in fila indiana, in ordine sparso d’attacco; insomma si potevano simulare vere e proprie battaglie con eserciti contrapposti schierati.
Bastava una cerbottana, o una di quelle piccole fionde di plastica, con elastici comuni e cartucce di carta opportunamente confezionate, per abbattere i soldatini contrapposti.
E tu ‘sparavi’ alternativamente contro uno schieramento e contro l’altro, simulando l’artiglieria amica e nemica; poi ogni tanto simulavi il bombardamento aereo, lanciando dall’alto una palla di gomma.
Un’altra caratteristica fantastica di questi ‘soldatini’ era che si influenzavano a vicenda e cioè, se ne colpivi uno davanti e se erano stati disposti abbastanza vicini, quello che cadeva, poteva trascinarne altri con sé, innescando così una sorta di reazione a catena. come il bowling e come le tessere del domino, che disposte opportunamente, si abbattono una dietro l’altra… insomma per me e per la mia fantasia, un’inesauribile fonte di gioco.
Altra caratteristica fantastica era la loro indistruttibilità.
Le pallottole di carta lanciate con l’elastico e i ‘dardi di carta’ fatti per la cerbottana, riuscivano a farli cadere, ma non li rovinavano minimamente.
Discorso diverso invece, quando da più grandicello, iniziai ad usare il fucile ad aria compressa con i gommini rossi; quelli si che, sparati da abbastanza vicino, riuscivano a bucarli.
Mi ricordo che volavano una bellezza e, quando erano colpiti, emettevano un rumore forte e caratteristico, come una frustata: “L’ho colpito, l’ho colpito! Muori marrano: adesso tocca a te!”… e via ad aprire in due la canna e a inserire un nuovo gommino.
Pum, caricare… pum, caricare… un colpo la volta; la mia carabina purtroppo era così!
Vedete, anche questa volta mi sono fatto trasportare e sono finito dai ‘soldatini di carta’ alla carabina ad aria compressa!
Ma il nonno?
Lo abbiamo lasciato all’Inps, che portava i cartoncini al suo nipotino e gli accendeva la fantasia, suggerendogli i suoi giochi fantastici.
Il Nonno Achille, però, non è finito qui, ma è quasi finito il viaggio: siamo a Bari e ormai mi resta solo ancora un’oretta: il Nonno merita un racconto a parte tutto per lui!
Poi credo che ne avrete ormai le palle piene e che cestinerete subito ogni mia lettera futura; peggio per voi!
Io mi sono divertito a scriverla e, se siete arrivati sin qui, credo che anche a voi abbia fatto piacere.
Adesso:
“Alzatevi immediatamente dal divano, conservate il Calvados (se ne fosse rimasto) e ritornate alle vostre faccende”.
“E stato bello farvi gli auguri di Natale, condividendo con voi un piccolo pezzo della mia vita”.
“Siamo ancora amici?”.
“Auguri ancora”
20/12/2008 dal treno Torino - Lecce