Non riuscivo a credere che mi avesse notata. Aveva notato proprio me!
Io tentavo sempre di stare in qualche angolo possibilmente in ombra. Pensavo di riuscire a mimetizzarmi bene con piante, carte da parati, tappezzeria varia, invece stavolta non c'ero riuscita.
Non che volessi scappare dal mondo, anzi, io c'ero sempre, mi è sempre piaciuto osservare, ma non ero troppo entusiasta di partecipare. Il perché è molto semplice, semplice quanto complicato.
Quando sono venuta ad abitare qui avevo tre anni, e dove stavo c'era un cortile che dividevamo con altre famiglie. C'era un bambino che aveva solo un anno più di me, ma a quell'età un anno può fare davvero la differenza. Mi ha sempre vessata, mi ha sempre costretta a fare cose che non volevo fare, insomma un vero prepotente. Quando, finalmente sono andata a scuola la nostra differenza di età ci ha allontanati, lui ha cominciato a fare il prepotente con altri, e io facevo di tutto per non farmi notare. Vedevo che funzionava, quindi sono diventata una vera autorità nell'arte della mimetizzazione. Lo facevo con così tanta abilità che a volte anche gli insegnanti faticavano a ricordare il mio nome.
Una volta raggiunta l'età per confrontarmi con l'altro sesso sono cominciati i problemi. Non che sia da buttare via, anzi, ma non accendevo la fantasia dei ragazzi, non mi guardavano. Allora ho pensato che magari potevo interessare alle ragazze, ma era anche peggio, le poche che mi consideravano le sentii dire che ero irrecuperabile, che la mia femminilità era pari allo “zero assoluto”, quindi un vero e proprio disastro.
Per un periodo ho anche pensato che fosse arrivato il momento della mia rivincita. Avevo appena finito la maturità, e incontrando Chiara, una mia compagna di classe molto bella e molto desiderata, mi chiese se volevo accompagnarla. Quando le chiesi dove, mi disse per un provino da modella. La cosa mi incuriosì, non riuscivo a immaginare come potesse essere quel mondo.
Arrivate li mi confusero con le altre provinanti, mi vestirono e mi buttarono in passerella. Fu divertente. Alla fine un signore, che si rivelò essere lo stilista mi disse: “Non ho mai visto una modella come te, sei perfetta! Ti annulli in modo così totale che riesci a valorizzare i vestiti in modo fantastico!”.
Cominciare a girare il mondo era un'idea entusiasmante, e a dire la verità mi sono molto divertita, ho visto posti che mai avrei visto in tutta la vita. Ogni tanto mi prendevo una pausa per tornare a casa da mia madre, l'unica persona alla quale mancavo, l'unica che mi cercava sempre. Mi piaceva, dopo tanta indifferenza dividere un ambiente con una persona che ti guarda, che ti parla solo perché ne ha voglia.
Nonostante tutto, durante queste pause dovevo mantenere i contatti per il mio lavoro, e quindi dovevo passare alla sede dello stilista e presenziare ad alcune feste, anche se nessuno si accorgeva mai della mia presenza. Fino a quella sera...
Lui era bellissimo, elegante, tutte le donne e gli uomini lo guardavano, chi con desiderio, chi con invidia. Come al solito, e questa è una mia grande capacità, avevo trovato un angolo davvero in ombra, un angolo quasi buio. A un certo punto arrivò lui... sì, proprio lui. Si avvicinò e mi parlò..."Ottimo posto per passare inosservati. Non ce la facevo più a salutare tutti. Mi presento, mi chiamo Marco." Io riuscii a malapena a balbettare il mio nome.
Lui mi parlò di quanto detestasse certe feste dove l'unica cosa reale era “esserci”, dove la vacuità la faceva da padrona, dove era raro vedere una ragazza bella come me che faceva di tutto per non apparire. Bella? Io? Sicuramente non ero brutta, ma non ero particolarmente attraente, un truccatore, credendo di farmi un complimento un giorno mi disse “Tu sei come il grigio, vai bene con tutto.”
Lo incontrai di nuovo, per caso in strada. “Anna! Anna! Ciao, non so se ti ricordi di me. Sono Marco.”
Se mi ricordavo? Non riuscivo a credere a quello che mi stava succedendo. Per farla breva andammo a vivere insieme dopo soli tre mesi.
Dopo una settimana successe... ma in fondo era stata colpa mia, non dovevo contraddirlo davanti ad altri. Mi chiese scusa e io gli chiesi scusa, e andammo avanti.
Dopo tre settimane, era il nostro “mesiversario”, e io avevo preparato una cenetta romantica per festeggiare, ma io non sapevo che non gli piacevano le rape... colpa mia, avrei dovuto saperlo. Mi chiese scusa, e io gli chiesi scusa.
Passarono altre due settimane, io ero al telefono con mia madre, lui era appena rientrato, e io non l'avevo salutato con il solito trasporto.
Alla fine della telefonata senza neanche discutere, senza nessun avviso mi diede un pugno che mi fece cadere a terra. Disse “Io vengo prima anche di quella stronza di tua madre.” Quando finì la frase una specie di velo calò sulla mia ragione, ero vicina al piano di lavoro in cucina, afferrai un grosso coltello, e senza pensarci lo colpii, e lo colpii, e lo colpii...
Mi guardava incredulo, forse pensava che stavolta gli avrei chiesto scusa... ma mia madre no, non doveva toccarla.
Odio la violenza, perché la violenza genera altra violenza. Per questo sono venuta a costituirmi signor Commissario, per evitare altra violenza.