Ennesima sigaretta e con questa sono quaranta esatte oggi. Un goccio di rhum buttato giù di fretta, quasi fosse un atto dovuto. La stanza è quasi vuota. Pochi elementi d’arredo. Un divano, due poltrone, una tavolino quasi interamente ricoperto di cenere e cianfrusaglia. Il comò con i ricordi dei tanti viaggi dove ho perso tante parti di me. Il portatile perennemente acceso che ronza. La Tv senza volume che illumina la stanza di bagliori intermittenti. Una magnifica serata, una serata come tante. Guardo il fumo che si perde nel soffitto.
Il telefono non squilla. Il telefono, il fottuto telefono è muto. Lei è altrove. Lei è nel suo palazzo dorato. Dentro quella facciata senza fiori. In quell’appartamento che mi è precluso, divisa tra le faccende di casa, i suoi figli, un marito che non ama e che non l’ha mai amata come lei merita. Come le avrebbe desiderato.
Le serate, quando sono solo e penso, sono queste. Immaginarla in una stanza che non conosco. Seduta su di un divano che non ho mai visto. Accostata ad una finestra dalla quale non mi sono mai affacciato. Dentro un letto, accanto ad un uomo che ha esattamente quello che io vorrei.
Il telefono non squilla. Sfioro il display, nessuna notifica, solo ameni commenti spicci sui miei post di Facebook. Soprassiedo. Mi alzo, faccio pochi passi e sono in strada. Salgo in macchina. Un chilometro, due, tre, mille. Le strade della città sono quasi vuote, se non fosse per poche forme di vita aliena. Accendo la radio e gli Snow Patrol cantano “You’re all I have”. Vorrei che lei lo sentisse. Che Isabel sentisse forte e chiaro queste parole. Tu sei tutto quello che ho. Nient’altro che questo. Ma sono solo, aggrappato al volante della mia vettura che vaga nella notte.
Non avrei mai pensato di vivere una storia come questa, tantomeno che una storia come questa fosse così difficile, così insopportabilmente dolorosa. Eppure è così. Ho sempre pensato che il sesso e l’amore fossero due elementi che quando si uniscono, in quella magica, unica alchimia chimica, deflagrino in un’esplosione che non ha pari e che mette tutti a tacere. Che si fa spazio tra le ingiustizie. Tra le anomalie. Che si crea un universo suo tra il sacro e il profano. E lo credo ancora adesso. Ora che sono quasi le due di notte e che le mani mi fanno male per quanto ho stretto il volante.
Dalla radio i Nine Inch Nails cantano “Hurt”, capolavoro epico. “Mi sono fatto male oggi. Per vedere se provo ancora qualcosa. Mi focalizzo sul dolore L’unica cosa che è reale…” sono le prime magnifiche strofe. Ed io questo sto facendo. Sto scendendo giù nella tana del Bianconiglio, nel baratro dove la luce è una chimera, affondando le mie stanche ossa fino ad abbattermi al suolo. Fino a quel punto oltre il quale non si può andare. Oltre il quale o ti desti o muori. Nella vana illusione che lei si desti dal suo torpore. Che prenda la sua vita nelle mani, allontanandosi da quel palazzo che non le appartiene. Da quella vita che non è sua. Del quel letto di foglie secche dove l’amore non si è mai posato.
Dal taccuino dimenticato sul sedile si intravedono gli ultimi pensieri scritti qualche giorno prima: “Maledetto il giorno in cui ti ho incontrata Isabel, perché in quel giorno, in quel preciso istante, ho capito che non avevo inteso nulla della vita e che i miei occhi erano chiusi, il mio cuore spento. In quel preciso istante ho afferrato il tuono, il lampo mi ha destato, il sorriso è dilagato in me come un’onda onnivora che non lascia superstiti. Maledetto quel giorno, perché è da quel momento che non posso fare a meno di te. Non posso concepire la mia esistenza senza il tuo viso, senza i tuoi occhi. Senza il tuo odore, quello che hai solo tu e nessun altro e lo hai esattamente sul collo, nella piega che ho baciato mille volte, quella che volge verso la spalla. Quella dove il mondo non esiste. Non esiste il tempo e tutto l’universo si piega in soli pochi centimetri di calore”.
Mentre imbocco l’autostrada, destinazione ignota, penso che vorrei essere altrove in questo preciso momento. Esattamente in un unico posto. Addormentarmi dentro di lei dopo aver fatto l’amore e al risveglio dirle “Ti amo, sei l’unico senso della mia vita”. Perché questo sarebbe, null’altro che questo. Tracimando le mie lacrime, il mio piede preme l’acceleratore, perché il momento è adesso, non ieri, non domani, adesso. Adesso che lei è dentro come la mia stessa anima, la mia poesia, il mio fuoco. E toglierla sarebbe morire. Sarebbe la fine di ogni cosa.
Maledetto quel giorno perché ho conosciuto l’amore.