Sento il cielo addosso, sparso come gocce di una insistente pioggerellina primaverile.
Batte dappertutto. Sui volti spenti, negli occhi strabuzzati, fra le braccia tese per abbracciare, sulle labbra costumate dal silenzio.
Parla il cielo una lingua nuova che solo il cuore riesce a decodificare nella memoria delle assenze, dei sogni, di quelle stelle appese per brillare insieme.
Ogni giorno rotola anche, come le onde del mare refrattarie a raggiungere gli scogli. Come le lacrime che si cerca di asciugare osservando all'esterno una realtà che pare sospesa in una dimensione inspiegabile.
Se mi avessero raccontato che potesse essere di carta il cielo forse a volte avrei provato a strapparlo, non perchè la sua immagine cadesse, ma per ricostruirlo a modo mio.
Un cielo fatto di note musicali, senza nuvole incompatibili, senza grumi di quel grigio scuro scuro che preannuncia l'arrivo di un minaccioso temporale.
Un cielo un po' porpora, decisamente vivo come un cavalletto dipinto dall'artista di turno, un barlume di luce senza ferite.
Quelle sono da mettere via. Un cielo perbene, insomma! Da fissare, da non snaturare ma da riannodare alla vita in una inscindibile intesa.
Sento il cielo e ho dimestichezza con i suoi rami, le sue stagioni, i suoi mutismi, i suoi preavvisi che scendono fino al mare fessurando squarci di bellezza.
Sento il cielo e mi commuovo. Non c'è più il coprifuoco della tristezza ma una stradina di speranza che mi sbircia per essere percorsa.
Sento il cielo e assaggio il suo profumo salmastro. Sa di mare. Sa di me. Sa di quell'amore che straborda e stordisce.
Come un tappeto di Dio gli occhi soffiano dappertutto stupore!