Entro e il caldo del camino mi avvolge in un abbraccio caloroso, esplode dentro di me tutta la fatica, la stanchezza, la fame accumulata durante il viaggio di ritorno. Crollo su una sedia e già sento nelle ossa un brivido spiacevole, quello che dovrà dirmi il tizio so che non sarà una buona notizia. Ci sono storie che non andrebbero mai raccontate. Quella della mia famiglia era una di queste. Quando l’uomo che sta al mio fianco comincia a parlare, una strana pace si impossessa di me. Lui parla, racconta le vicende degli ex abitanti della casa che adesso è sua. Dovrei prestare più attenzione, indignarmi, commiserarmi o anche piangere, invece, me ne sto lì impassibile con lo sguardo nel vuoto vicino al fuoco di un camino a lungo desiderato. Il sonno si fa strada e s’impossessa di quanto è rimasto di un giovane corpo partito quattro anni prima per andare due montagne più avanti a difendere altre valli da uomini, un tempo amici, trascurando di occuparsi della propria montagna. Voglio credere che sia stato il vento e, non qualcuno, a spazzare via le speranze dall’animo degli abitanti della casa in fondo al viale, in un paese nascosto in fondo alla valle. L’uomo non dice più nulla ha visto che mi sono addormentato e mi copre con una coperta. Dormo per un tempo indefinito senza sogni, senza problemi, un sonno che nasconde la delusione, la rassegnazione di non poter ritrovare la mia famiglia e passare con lei il Natale. Quando mi sveglio la prima cosa che sento è un odore di zuppa, la fame repressa esplode in tutta la sua virulenza, mi alzo dalla sedia vicino al camino, sento dopo un tempo infinito il calore nelle mie mani rimaste gelide a lungo, troppo a lungo. L’uomo mi guarda, abbozza un sorriso, al suo fianco una donna avanti con gli anni e al fianco due bambini dalla faccia smunta. Mi fissano come un oggetto misterioso, il mio lungo cappotto militare mi dà un’aria di uomo più grande di quello che sono, ho la barba lunga e gli occhi arrossati. Uno spettacolo insolito per un soldato del regio esercito. Cerco di prepararmi e andare via da quella casa che non è più la mia, sono un ospite non desiderato, devo andare, non so dove ma devo uscire da quella casa, prima che perda il calore che ho recuperato e la fame non mi faccia svenire. Sto pensando come fare quando una voce mi raggiunge:
«Come ti chiami soldato? La voce è del capofamiglia, che dopo avermi chiesto il nome mi fa cenno di avvicinarmi alla tavola. La donna si era alzata e sta apparecchiando, mentre penso a come rispondere all’uomo vedo con la coda dell’occhio che sta mettendo cinque coperti, loro sono in quattro, un pensiero mi corre veloce nella testa.
«Mi chiamo Giuseppe, quando abitavo qua, i miei mi chiamavano Pino, se volete potete chiamarmi così anche voi. Siete delle brave persone e non è colpa vostra se adesso io non ho più una casa né una famiglia.»
«Tranquillo Pino, tutti noi abbiamo sofferto questo periodo oscuro, ora sembra che ne siamo fuori e per questo dobbiamo ringraziare il Signore, domani è Natale, dobbiamo celebrare la sua nascita, sperando che ci porti un po’ di serenità. Resta con noi, ci fa piacere avere un giovane in casa dopo aver perso mio figlio, aveva più o meno la tua età, è caduto sui monti da dove sei arrivato tu, chissà forse era un tuo compagno d’armi. Resta, ci sembrerà di averlo ancora tra noi. Dovrai accontentarti di quello che abbiamo, siamo poveri ma tiriamo avanti, aspettiamo la fine dell’inverno per riprendere i lavori nei campi, forse potresti darci anche una mano, se ti va di restare in casa tua.»
L’uomo parlava e io dovetti sedermi per l’emozione, non pensavo a nulla del genere, ma dovevo immaginarlo, la gente della valle è rustica, parla poco, ma ha un cuore enorme, capace di gesti e parole che rincuorano. Non avevo voce per rispondere, mi limitai a fare un cenno affermativo con la testa. Mi decisi a togliere il cappotto e da sotto quella palandrana uscì fuori il corpo provato di un giovane di ventisei anni, ma che ne dimostrava quaranta. Senza parlare mi avviai verso la cucina, sapevo bene com’era fatta la mia casa per darmi una lavata di mani, l’indomani dovevo rimettermi in ordine, non potevo presentarmi al Natale così com’ero combinato adesso. La cena con i nuovi amici fu breve e molto parca. Una zuppa d’ortica e pane e delle fette di salame uscito chissà da dove. Per il giorno dopo, Natale, non so cosa avesse in mente quella famiglia, io da parte mia per contribuire pensai di tornare indietro fino al punto in cui avevo nascosto il fucile in dotazione e con quello cercare di andare a caccia di qualcosa di più sostanzioso. Non dissi niente all’uomo che mi aveva ospitato, che seppi, dopo, si chiamava Pietro, dissi solo che volevo fare un giro di giorno per vedere il cammino fatto. Presi il fucile dal nascondiglio e m’incamminai verso la salita che portava al bosco dietro la collina, prima di arrivare alla montagna vera e propria. Ero nato in quella valle e conoscevo tutti i suoi segreti, con la neve poteva capitare anche d’incontrare un cervo o un daino scesi per cercare del cibo dove la neve era più bassa, anche qualche lepre rientrava fra la selvaggina possibile, camminai a lungo cercando le orme di animali, ma non trovai niente, ero arrivato in cima alla collina e mi accinsi a scendere. Avevo fatto appena pochi passi quando dall’alto vidi più a valle, poco distante dal sentiero che dovevo percorrere, un movimento! Cercai di vedere meglio e finalmente li vidi. Era un gruppo di caprioli riuniti intorno a una rientranza del terreno che non era coperto di neve, c’era dell’erba e stavano mangiando tranquilli non si aspettavano pericoli in quella zona e in quel periodo. Scesi con cautela fino a raggiungere un posto molto vicino a loro, erano in tre due giovani femmine e un maschio adulto. Decisi subito per una delle due femmine, l’altra coppia avrebbe potuto procreare. Controllai il fucile, le pallottole, avevo una sola occasione e non potevo fallire. Il colpo risuonò in un’eco senza fine rimbalzando da monte a monte, ma dovetti spararne un altro, anche se ferita la femmina stava cercando di nascondersi nel bosco. Quando rientrai a casa di Pietro con l’animale sulle spalle ci furono scene di gioia specie da parte dei bambini, la moglie aveva le lacrime agli occhi. Pietro mi guardò con uno sguardo scrutatore, ma non trovò traccia di nulla. Mi strinse la mano. Fu il primo Natale dopo quattro anni per tutti noi seduti a quella tavola che mangiammo carne fino a scoppiare. La polenta nel paiolo sul camino borbottava e il viso dei bambini si fece rosso dal caldo e dal cibo. Il primo Natale passato in casa fra gente di cuore e senza il rombo opprimente dei cannoni.