In una sala al ventesimo piano di un grattacielo del centro, quattro personaggi erano seduti attorno ad un tavolo di forma circolare:
«Non si può andare avanti così. Fra poco tempo, forse meno di una generazione, non ci sarà più niente per nessuno».
A parlare era Roosevelt Jr, nipote di quello famoso, il Franklin Delano, seduto attorno al tavolo di forma rotonda insieme agli altri partecipanti al convegno.
«Ah! Ve ne accorgete soltanto ora? È da un bel pezzo che noi lo dicevamo! Il Capitalismo porta alla rovina!» disse, un po’ piccato, un altro, baffuto e arcigno, seduto di fronte a Roosevelt Jr. e che discendeva direttamente da Stalin, il dittatore della ex Unione sovietica.
«Certo. Ora me ne accorgo anch’io,» replicò Roosevelt: «ma il vostro ”comunismo” è crollato molto prima ed ora i veri capitalisti vengono proprio dal vostro mondo. Anzi ho il sospetto che anche quando c’era tuo nonno, non fosse tutto come si raccontava e, in un mondo di uguali, qualcuno come al solito era più uguale degli altri!»
Ora prese la parola un orientale, paffuto e stempiato che vestiva una camicia scura abbottonata fino al girocollo ed era il nipote di Mao Zedong :
«Sono d’accordo con l’americano, ma non del tutto. È innegabile che se si riesce a controllare la grande massa, la maggior parte della gente, è più facile mantenere il potere. Mantenendoli nella miseria, uguale per tutti, il risultato è che si aiutano tutti tra loro. Si ottiene una maggiore coesione e il controllo è totale. Un sistema così può durare secoli».
«Se fosse così, sarebbe durato e non sarebbe cambiato in quello che vediamo ora, cioè uno stato, la Cina, aggressivo ed economicamente arrogante». Questa volta, a parlare, era il discendente di seconda generazione di Sir Winston Churchill che se ne stava, fino ad allora, in ascolto.
Churchill Jr. riprese la parola:
«Signori, se ci siamo riuniti è perché riconosciamo tutti che nessuno dei sistemi adottati in passato hanno funzionato bene. Quello che i nostri nonni si sono detti a Yalta, anche se Mao Zedong non c’era ed ora abbiamo giustamente con noi il suo discendente, alla lunga non si è realizzato. La situazione, così come anticipato da Roosevelt, sta degenerando e tra poco arriveremo all’autodistruzione dell’intero pianeta. La voglia di potere, il desiderio di acquisire terre altrui, magari ricche di minerali, oppure pregiudizi e odi atavici, le cui origini sono perfino state dimenticate, scatenano guerre e una violenza inaudita. Inoltre, lo sfruttamento del suolo nelle sue varie forme, esercitato senza alcun controllo, unito al problema causato dalla spazzatura mondiale che non si riesce a smaltire nel modo corretto, distrugge gli equilibri tra aria, acqua e della vita in generale. Anche questi sono effetti del capitalismo o, meglio, dei suoi aspetti più beceri, esercitati senza alcuno scrupolo. Non credo che nessuna parte del mondo sia meno colpevole di altre.»
Tutti rimasero in silenzio, con lo sguardo abbassato e, dopo un minuto intero, fu Stalin Jr. a rompere il ghiaccio:
«È colpa di internet e degli emigranti!» sentenziò, «senza la diffusione di foto e notizie che c’è adesso, le persone si muoverebbero in misura minore. Ora tutti i poveri sanno che esiste una parte del mondo in cui la vita è alquanto migliore ed è naturale che vogliano farne parte anche loro. La gestione dei movimenti genera problemi a tutti gli Stati dell’occidente»
«Beh, non sono d’accordo,» disse Roosevelt Jr.: «non è impedendo alla gente di sapere, come avveniva ai tempi di tuo nonno, che si fermano le migrazioni. Quelle ci sono sempre state e poi io penso che non sia il problema maggiore dei nostri tempi.»
«Allora sono curioso di sentirti dire quale potrebbe essere, secondo te, il male maggiore.» volle sapere Zedong.
Roosevelt Jr. prese qualche secondo per raccogliere le idee e poi spiegò:
«Ok, non so più se si tratta del male maggiore ma sicuramente penso che si tratti di uno dei più grandi. Tutti noi passiamo la sessantina e sono sicuro che siate d’accordo sul fatto che “internet” abbia cambiato la nostra vita. Tutti ci ricordiamo dei telefoni con la rotella e delle TV in bianco e nero. Da bambino ho passato molte ore per imparare a scrivere, capire l’aritmetica e imparare poesie a memoria. La memoria andava esercitata perché era il primo strumento su cui avrei dovuto fare conto nell’età adulta, per imparare calcoli e formule sempre più complicati, nello studio di ingegneria che ho frequentato e poi, anche fuori dalla professione, serviva per ordinare tutte le nozioni di cui disponevo e per farne buon uso. La mia cultura (certamente anche la vostra) è il risultato di ore di studio, su libroni ed enciclopedie che erano tutt’altro che “user friendly”, come si direbbe oggi. E poi anche la vita di tutti i giorni era diversa: quanto coraggio occorreva per chiedere un appuntamento alla ragazzina di cui si era “cotti”, guardandola negli occhi? E quante volte si è dovuto mandare giù amaro di fronte all’ennesimo no?
Internet, indubbiamente ci ha semplificato la vita. Forse troppo. Ora non è più necessario ricordare a memoria formule complicatissime, è sufficiente sapere che esistano poi, con un semplice movimento delle dita sullo schermo del telefonino, eccola che appare senza nessun errore.
I giovani di oggi hanno un accesso alle informazioni che noi non avevamo e che rende apparentemente inutile gran parte degli sforzi per studiare. Anche nella vita privata è tutto più semplice: si danno appuntamento attraverso le chat e se ricevono un rifiuto non c‘è nessun imbarazzo, cancellano la chat e cercano un’altra ragazza. Poi si può parlare anche dei freni inibitori che, in seguito alla diffusione di immagini anche erotiche di tutti i tipi, si sono dimenticati. Non so voi, ma per quanto mi riguarda, per andare oltre un bacetto con una ragazza occorreva tanta pazienza e tanta insistenza. Ora si arriva al rapporto completo in un batter d’occhio.
Senza essere moralista, direi che le nuove generazioni hanno perso la pratica al “sacrificio”, agli sforzi che servono ad ottenere un risultato. La facilità con cui ottengono qualsiasi cosa li porta a dimenticare la fatica e l’impegno. I risultati, così facili, sono meno apprezzati.
La vita, poi, li porta inevitabilmente alla resa dei conti, ma quando capita non sanno come affrontare le difficoltà e spesso non accettano di impegnarsi, pretendendo che tutto si risolva facilmente. Come sono abituati a fare con il Web.
L’unico caso in cui i ragazzi sono disposti a impegnarsi è la pratica dello sport. Solo in questo campo imparano che i sacrifici sono ripagati dai risultati. Ai nostri tempi non era l’unica scuola di vita, ma ora rimane solo questa»
Il discendente di Roosevelt, a questo punto tacque attendendo i commenti degli altri convenuti.