18 luglio 2017 ore 18.30
Sono di nuovo qui.
Davanti al letto della nonna.
Ormai la chiamo così, anche se è la mia mamma.
Tutto è cominciato il 18 giugno.
La nonna di notte sembra aver avuto un piccolo ictus cerebrale, che l'ha costretta a letto.
Suor Carmela si è prodigata tantissimo per assisterla e ha provato di tutto per tirarla su. Per un paio di giorni ha mangiato qualcosina.
Due giorni dopo abbiamo notato che aveva un leggero gonfiore alla pancia. Il medico di base le ha prescritto alcune analisi e delle flebo, per compensare la scarsa alimentazione.
Pensavamo si trattasse di Anemia (qualche mese prima aveva il ferro bassissimo, l'emoglobina a 7, ma in chirurgo che l'aveva visitata, aveva escluso emorroidi superficiali o interne) e invece, dalle analisi, abbiamo trovato l'albumina bassissima.
Lo stesso giorno ho richiesto via Alpi una visita specialistica domiciliare (250 euro) e alle 14 avevamo già il nostro specialista dalle suore.
Le ha prescritto Albumina umana per un mese e Eprex da 5000 per tre mesi... la pancia non era ancora molto gonfia e non l'ha considerata granché.
Due giorni dopo, era venerdì sera, invece era gonfissima.
Ho sentito lo specialista (che mi aveva dato ampia disponibilità di contatto) e dopo aver escluso il "fecaloma", mi ha consigliato di chiamare il 118 ("addome acuto" mi ha consigliato la suora).
Sabato mattina sono arrivati quasi subito, in quattro, armati di tutto punto e con le aureole e le ali di Angeli.
Molto bravi e professionali.
Il capo angelo ha chiamato la base, per avere indicazioni su dove portarla: 'Copertino' hanno sentenziato.
Mi hanno fatto andare avanti: nell'ambulanza sono già in quattro e non ci sarebbe posto, ma in ogni caso, non è consentito portare i parenti in ambulanza.
L'ospedale di Copertino ci è sembrato ospitale, ben organizzato e per niente caotico.
La nonna è arrivata dopo una quindicina di minuti, direttamente dai medici del pronto soccorso. Abbiamo aspettato una ventina di minuti, poi ci hanno chiamato.
Mi hanno ricevuto due dottoresse in camice verde: una vicino alla nonna, che la preparava per le flebo e un'altra vicino ad un ecografo…
"Dall'ecografia addominale abbiamo riscontrato molte anomalie al fegato... il liquido addominale è una diretta conseguenza. Non abbiamo molti posti, ma faremo del nostro meglio per trovarle una sistemazione"
Mi hanno fatto avvicinare alla barella con la mamma e ho provato a coccolarla un po'. Mi ha chiesto dell'acqua.
Altri venti minuti ed è arrivata la destinazione provvisoria: secondo piano, Ginecologia.
Mi hanno anche detto che, appena possibile, l'avrebbero trasferita al piano superiore in Geriatria.
Il reparto ci è sembrato pulito, anche se un po' decadente. Una compagna di letto anziana con i suoi bravi parenti, con flebo e catetere.
In tutto il reparto tutte vecchiette e nessun neonato.
Abbiamo subito cercato un'infermiera per la notte e ci hanno messo in contatto con una signora bravissima e preparatissima (Mercedes) che lavora nel reparto, ma che era di riposo.
La nonna si è lamentata tutta la notte e anche la notte dopo non ha fatto dormire nessuno.
Domenica mattina le avevano già fatto la Tac all'addome e i raggi al torace: "Metastasi diffuse al fegato e alcune macchie ai polmoni... il liquido nella pancia ne è la conseguenza".
Ovviamente ho chiesto cosa pensavano di fare e mi hanno detto che, data l'età, consigliavano di non fare ulteriori accertamenti ed esami invasivi.
Ci hanno proposto di firmare un documento in tal senso e in cui era specificato che avrebbero fatto solo cure palliative per alimentarla e non farla disidratare.
Abbiamo allora cercato una struttura dove potessero assisterla, come malata terminale.
Sapevamo dell'esistenza dell'Hospice di San Cesario, ma eravamo sicuri di non trovare posto.
Siamo andati a chiedere.
Ci hanno ricevuti molto gentilmente e ci hanno fatto attendere in un salottino.
Abbiamo atteso una mezz'ora.
Poi la dottoressa responsabile ci ha ricevuti, con un'altra dottoressa e due psicologi.
"Il posto c'è" ci hanno detto, “ma l'ospite deve essere un malato terminale, con una malattia non reversibile”.
Si son fidati della nostra descrizione, ci hanno istruiti sul protocollo da seguire e ci hanno dato una brochure, con le caratteristiche della struttura.
"È l'ospedale che deve chiedere la disponibilità di posto e gestire il trasferimento”. Una volta avuta la chiamata dall'ospedale, un loro medico sarebbe andato ad accertare le condizioni della nonna e a convalidare il trasferimento.
Una volta preso gli accordi, l'ospedale avrebbe trasferito la paziente con una sua ambulanza.
Così è stato!
Un paio di giorni dopo, ci hanno avvisato che la nonna sarebbe stata trasferita la mattina successiva.
Come sempre, alle 7 del mattino, io e mia sorella eravamo in ospedale.
Verso le 9.30 è arrivato l'operatore con la barella, l'hanno 'ingabbiata' per benino ed è iniziato il trasferimento.
L'ascensore non era grandissimo e ci siamo entrati anche noi assieme alla barella... un po' schiacciati in verità, ma per far entrare la barella, l'operatore ha dovuto fare diverse manovre, a causa dello spazio ridottissimo tra la finestra e la porta dell'ascensore: la barella è passata al millimetro dopo diversi 'avanti e indietro', proprio come si fa quando si deve parcheggiare l'auto, in uno spazio al pelo.
Anche qui ci hanno fatto andare avanti: niente parenti nelle ambulanze... l'autista ci ha spiegato che sono assicurati solo per il malato e il personale di supporto.
Ovviamente siamo arrivati prima noi.
Le ambulanze seguono dei percorsi prestabiliti e, quando non c'è emergenza, vanno piano.