Il condominio di via Garibaldi era un palazzone di sette piani a doppia scala per un totale di 60 famiglie. Vi abitava un concentrato di umanità che guardava il benessere passare veloce con i treni ad alta velocità e che facevano tintinnare i vetri delle finestre e le tazzine del servizio buono nelle vetrine. Un folto gruppo di emarginati che vivevano nell’anonimato e nell’abbandono. Era uno di quei caseggiati senza balconi, con delle finestre che affacciavano sul tratto di ferrovia e su un terreno incolto. Il loro panorama giornaliero era costituito da treni in transito e la visione di lotte per la sopravvivenza. Da una parte schiere di topi che scorrazzavano nell’erba incolta e dall’altra i gatti che gli davano la caccia. A volte si vedeva qualche gallina sfuggita da chissà dove, ma aveva vita breve, nel giro di un’ora scompariva. Le famiglie che abitavano in quel palazzo erano tutte persone che vivevano alla giornata con lavori effimeri e quasi sempre di espedienti. Donne di servizio, badanti occasionali, lavoratori edili con lavoro a termine. I giovani erano disoccupati, non facevano altro che andare in giro a creare problemi per loro e per gli altri. Uno degli appartamenti, sito al secondo piano era occupato da una coppia di anziani. Lui invalido civile e lei doveva occuparsi di tutto. Avevano dei figli che vivevano all’estero e difficilmente venivano a trovarli. Due vecchietti che tiravano avanti alla meglio, supportati a volte da qualcuno del palazzo che faceva delle commissioni per loro. Due brave persone che anche in quell’inferno di condominio riuscivano a conservare un briciolo di dignità e nel periodo natalizio si davano da fare per cercare di avvicinare gli uni agli altri. La signora Adele era infaticabile, oltre a dover badare al marito si adoperava per tenere a bada la moltitudine di marmocchi che c’erano nel palazzo. Quasi tutti i giorni li radunava in casa e chiedeva al marito di tenerli tranquilli raccontando loro delle storie. Era molto bravo, lui aveva fatto il conducente di autobus in città per quasi quarant’anni e ne aveva visti di fatti strani accaduti a lui e ai suoi colleghi. Raccontava ai ragazzi storie di vita vera che a volte risultavano essere più interessanti delle fiabe. I ragazzi le capivano meglio di storie di principesse e streghe. Natale era alle porte e nonna Adele, così la chiamavano quelli del condominio, si avviava a fare opera di convincimento verso le mamme del caseggiato. Si metteva come una lagna nelle orecchie delle donne affinché si dessero da fare anche loro. Il Natale era la più bella festa specie per i bambini e lei voleva che almeno per quel giorno fossero felici e sentissero lo spirito natalizio.
«Allora Maria hai capito- insisteva Adele, non è difficile devi solo costringere tuo figlio Massimo a collaborare.»
«Nonna Adele, le voglio bene, ma lei ha visto Massimo com’è fatto, sono cose che lui non farà mai, è un testone peggio del padre. Orgoglioso di non so che cosa, di essere un fannullone.»
«Lo so Maria, conosco bene quel ragazzo, ma il modo si trova, vuol dire che gli parlerò io, vedrai ci riuscirò, non è detto che per colpa di qualche testa vuota io debba rinunciare al Natale e, poi, ci sono i bambini piccoli che aspettano. Vedo i loro occhi umidi, persi, come se si trovassero da soli in un mare in burrasca, mi si stringe il cuore a vederli così- quando vengono a casa restano a bocca aperta ai racconti di mio marito e quando guardano la televisione, sapessi con quali sguardi e interesse seguono le cose che desiderano.»
«Nonna, questo lo so pure io che sono la mamma, le pare che non lo sappia, purtroppo questa è la nostra vita non possiamo in nessun modo cambiarla.
«Non possiamo cambiarla mia cara, però, possiamo darci da fare per migliorare qualche momento. Non è detto che dobbiamo metterci in un angolo a piangere. Il Natale è segno di rinascita, Gesù nasce e noi nasciamo un’altra volta con lui. Andremo a messa come si conviene e dopo faremo un po’ di festa, non occorre fare grandi cose, ci basta stare insieme e vedere i bambini contenti. Dopo vado a parlare anche con le altre mamme al piano di sopra, tu perché non vai dalle tue amiche. Cercate di organizzarvi, fatevi dare dai negozianti qualcosa che possa allietare la tavola, chi è brava a cucire perché non s’impegna a fare qualche cosa. Se faccio in tempo io stessa cercherò di fare dei cappellini all’uncinetto per le bambine, vanno a scuola e fa freddo, con un bel capellino faranno bella figura e saranno al caldo. Su, forza vai, io vado a fare un altro giro.»
Le due donne si separarono, Adele tornò in casa per controllare le condizioni del marito, lo vide impegnato con due ragazzini. Stava raccontando di quando gli capitò di assistere a un diverbio fra due donne. Una scena davvero intrigante. Adele uscì di nuovo e si recò ai piani alti dove sapeva sarebbe stato difficile, lì abitavano famiglie di extracomunitari che del Natale non importava nulla. Loro erano musulmani.
«Buongiorno signora Aisha – disse Adele appena aprirono la porta – venne ad aprire una donna che indossava un turbante di stoffa colorata, su un vestito a fiori grossi su sfondo nero. – mi scusi se vengo a disturbare. Io sono Adele…
«Buongiorno a te signora, io so chi sei, abiti al secondo piano. Prego entra in casa mia, è un onore ricevere una visita, qui non viene mai nessuno, penso loro non contenti di avere noi in questo palazzo.
«No, cosa dice, non è assolutamente vero, anche a casa mia non viene nessuno. Sono io che vado in tutte le case, io sono sola con mio marito che è paralizzato e cerco di trovare compagnia. Purtroppo, ognuno di noi ha problemi e non c’è tempo né la voglia di fare amicizia. In fondo sono tutte brave persone, un po’ sfortunate ma non è colpa di nessuno.»
«Giusto signora Adele, è la volontà di Allah! Noi accettiamo tutto con un sorriso.»
«Brava Aisha, ti dispiace se ti do del tu?
«No, così è meglio per me, io non sono ancora brava a parlare la vostra lingua ci vorrà ancora tempo. Allora cosa volevi dire a me, perché sei venuta a trovare.»
«Ecco sono un po’ in imbarazzo, so bene che a voi musulmani il nostro Natale non interessa molto, ma mi chiedevo se poteste lo stesso unirvi a noi, per preparare qualcosa di bello e utile per i bambini del palazzo, sono tanti e vorrei vederli sorridere almeno a Natale. Per noi adulti non importa, ma loro lo meritano.»