Camminava di buon mattino con l'aria di chi ha sempre fretta, come avesse un impegno urgente al quale non poteva sottrarsi, o una donna da raggiungere in un amore lontano.
Nessuna di queste cose. Cercava invece di fuggire alla vita che lo rincorreva, certo che prima o poi, stanca, si sarebbe arresa e lo avrebbe abbandonato. Quella mattina, silenzioso più che mai, non percorse la solita strada, non passò di fianco al campo sportivo e alla chiesa, ancora chiusa, che mostrava i segni del tempo. Uscito di casa si incamminò verso l'esterno del Paese inerpicandosi per un sentiero ai cui lati cresceva, senza un minimo di ordine, la vegetazione. L'aria era fredda e da lontano sentiva il rombo sommesso dei tuoni che si faceva via via sempre più vicino. Una goccia, poi un'altra e un'altra ancora. Il temporale in un attimo esplose in tutto il suo fragore. Cadeva così tanta acqua che sperava finalmente di essere giunto alla fine della sua esistenza. I canali si erano riempiti all'inverosimile. "Ci siamo" pensò con serenità, finalmente posso morire. Si girò un'ultima volta quasi per imprimersi negli occhi un'immagine definitiva e in quella nebbia di pioggia scrosciante di lampi e tuoni la rivide. Rivide la vita che ancora lo rincorreva, senza fermarsi un attimo. Improvvisamente, nel buio un bagliore: sulla destra, un viottolo e una casetta con una luce accesa. Era bagnato fradicio e sentiva dietro di sé il respiro rancoroso della vita sempre più vicino. Una ragazza alla finestra lo guardava, poi con un gesto, gli fece cenno di entrare.
"Amico mio cosa vuoi fare? Vieni a scaldarti, ti stavo aspettando". Richiuse la porta alle sue spalle. "Ma mi conosci per caso?" "Sapessi quante cose conosco di te, ma entra in cucina, scaldati". Si sedette su una panca contro la parete, nel centro un camino acceso spargeva un gradevole tepore. Osservò la ragazza da vicino, era bellissima, di una bellezza indescrivibile, i capelli scuri e gli occhi chiari. Indossava una girocollo blu e una gonna bianca.
"Abiti da sola?", domandò cercando di stemperare un certo disagio. "No, rispose, c'e il papà che non mi lascia mai, adesso è nell'altra stanza per non disturbare.
Sorrise delicatamente. "Oh eccololo il babbo!". Silenzio irreale, nella stanza non c'era nessuno oltre a lei. La guardò per cercare una risposta, o una domanda che non trovava.
La ragazza aveva assunto un'espressione seria, amorevolmente seria, quasi dispiaciuta, come se condividesse, capendo, il suo stupore. Riprese, "Perché scappi? Perché hai paura di vivere?" I suoi occhi celesti lo guardavano con tenerezza, come una madre o una sorella guardano un figlio o un fratello tornare da un lungo e pericoloso viaggio. Non rispose, balbettò e finalmente pianse. Pianse tutte le lacrime mai piante, pianse per quel maledetto dolore che gli toglieva il sonno e il respiro, stringendogli la gola. Pianse per la paura di vivere, per se stesso, per la vita che aveva provato ad amare ma senza esserci riuscito. Sentì improvvisamente la mano di lei sul suo capo, poi una preghiera sommessa. Si addormentò sfinito e si risvegliò nella sua casa, dentro il suo letto. Risentì il profumo di rose della ragazza, l'eco delle sue domande e delle risposte non date. Gli risuonava nel cuore solo una frase: da oggi non sei più solo. Si girò nel letto e sulla poltrona a fianco intui' una presenza della quale percepiva solo il respiro lieve. Per la prima volta in tutta la sua vita si sentì finalmente libero. Uscì di casa senza più paura e ansia e tornò di corsa nel luogo dove tutto era iniziato. Voleva rivedere quella ragazza, rivolgerle tutte le domande non fatte.
Si inerpico' per lo stesso viottolo, diventato una gigantesca pozzanghera, con una tranquillità ritrovata. Dove il giorno prima c'era l'abitazione, trovò i resti di una casa abbandonata, in pessimo stato, chiusa da una cancellata arrugginita. Sulla destra fra l'erba incolta una piccola lapide con la foto della stessa ragazza che aveva visto e che gli aveva parlato, vestita nello stesso identico modo.
A fianco la foto del padre.
Grazie per avermi ascoltato.